La Sardegna si mobilita per difendere la sua bandiera enologica: il Cannonau. La minaccia deriva da un Regolamento dell’Unione Europea, approvato nel 2019 ed in fase di recepimento nella normativa nazionale, che potrebbe consentire l’uso del nome “Cannonau” anche al di fuori dei confini dell’Isola. Un pericolo che ha animato veementi proteste tra gli addetti ai lavori dell’isola sarda e che ci sentiamo di sostenere in pieno.
Il regolamento riguarda:
le domande di protezione delle denominazioni di origine, delle indicazioni geografiche e delle menzioni tradizionali nel settore vitivinicolo, la procedura di opposizione, le restrizioni dell’uso, le modifiche del disciplinare di produzione, la cancellazione della protezione nonché l’etichettatura e la presentazione
Clicca qui per leggere il testo integrale
Cercando di tirar fuori il succo del discorso, il rischio derivante dal recepimento tout court della nome e che potremmo ritrovarci in tavola, nel 2021, un Cannonau di Sicilia o un Primitivo del Trentino.
Bestemmia!Direte voi amanti del terroir e dell’autoctonicità integralista, ma i fatti sono questi e c’è bisogno di organizzarsi per provare ad evitare un disastro enografico.
La Sardegna, per bocca del titolare dell’Assessorato all’Agricoltura Gabriele Murgia ha ribadito l’esigenza di “proseguire nella tutela e nella protezione di quelle denominazioni che sono intimamente correlate a determinati territori, tradizioni e cultura”.
Lapidario il commento di Coldiretti, che sottolinea l’importanza della produzione del Cannonau per il settore e per l’intera regione: “ll Cannonau il vino di gran lunga più prodotto in Sardegna al quale è destinato il 27% della superficie vitata dell’isola: 7.411 ettari su 27.217, dei quali 4.875 si trovano nella vecchia provincia di Nuoro”.
Il rischio, per citare il concetto espresso da Assoenologi, è quello della “desardizzazione” degli storici vini tipici. Oltre al Cannonau, infatti, altri vitigni sono messi a rischio sono: il Nuragus di Cagliari (1.492 ettari coltivati Cagliari su un totale di 1.880 in tutta la Sardegna), il Nasco che conta 147 ettari (131 nella vecchia provincia di Cagliari), il Semidano (38 ettari dei quali 17 a Cagliari e 20 a Oristano) e il Girò (88 ettari 44 dei quali nella ex provincia di Sassari).
Confidiamo nella riuscita di un tavolo politico.
La storia del Cannonau affonda le sue radici nell’isola sarda già dal 1200 a.C. e dall’isola si diffuse in tutto il Mediterraneo. Nel tempo, ovviamente, i territori ne hanno dato una propria interpretazione e, tra le migliori, c’è quella della Grenache spagnola. La grande diffusione della Grenache ha portato, negli anni, la convinzione di essere il vitigno padre del Cannonau ma le ricerche scientifiche hanno dimostrato il contrario.
Senza volerci soffermare troppo sulla dinamica familistica, possiamo con certezza affermare che il profilo genetico dei due vitigni coincide per l’80% e questo conta per definirli, almeno, parenti.
In Italia il Cannonau o Grenache è coltivato, oltre che in Sardegna, anche in altre regioni italiane: in Umbria viene chiamato Gamay del Trasimeno o perugino, In Veneto il nome della grenache è Tai rosso; in Toscana c’è l’Alicante, in Liguria la Guarnaccia e nelle Marche il Bordò.
Per approfondire: • SITO MIPAAF • GRENACHE DU MONDE • STRADA DEL VINO CANNONAU