Cultura & Storie

Donne e vino: la rivoluzione di Maria Luisa Alberico

La sommelier racconta la rinascita femminile nel mondo del vino italiano.
12 Ottobre 2025

Introduzione

Parlare di vino attraverso lo sguardo e la voce di Maria Luisa Alberico significa intraprendere un viaggio che abbraccia storia, cultura e identità, tutto al femminile. Nel suo libro “Da baccante a sommelier”, Alberico sovverte la tradizionale immagine della donna nel mondo del vino: non più figura trasgressiva e marginale, ma vera custode di saperi antichi, protagonista consapevole di una nuova stagione.
L’odierna sommelier, secondo lei, interpreta il vino con misura, sensibilità e professionalità, portando un equilibrio che trasforma la degustazione in esperienza autentica e condivisa. Dopo 15 anni dall’edizione di Palermo, il concorso ha abbracciato la bellezza e l’identità delle produzioni siciliane, affermando l’importanza di questi vini come simboli di tradizione e innovazione.
Questa intervista vuole entrare nel cuore delle sfide affrontate, delle scelte coraggiose e dei cambiamenti vissuti da chi oggi mette la propria energia femminile al servizio del vino, esplorando insieme ad Alberico quali competenze, doti e visioni sono davvero indispensabili per costruire un nuovo scenario dove le donne sono finalmente riconosciute e apprezzate.

Scheda Libro

Titolo: Vino è Donna. Da baccante a Sommelier
Autore: Maria Luisa Alberico
Editore: Pedrini
Data di pubblicazione: 19 febbraio 2024
Pagine: 228
Disponibile su: Amazon

Nel suo libro parla di un passaggio da “baccante” a sommelier: qual è stata la sfida più grande che ha dovuto affrontare come donna in un settore ancora dominato dagli uomini?

Il richiamo da baccante a sommelier che ho inserito nel mio saggio intende da un lato contestualizzare la figura della baccante, descritta nell’interpretazione maschile e nell’iconografia tradizionale come donna ebbra, furente, trasgressiva, dimenticando la realtà storica: la baccante, o meglio la menade, era la sacerdotessa di Dioniso, custode dei riti e dei culti, custode al tempo stesso del mistero e del potere del vino.
L’odierna sommelier a mio avviso conosce responsabilmente questo potere e sa trasmetterlo secondo i parametri della modalità che possiamo definire “apollinea”, ossia secondo la misura, l’equilibrio che devono rendere l’accostarsi al vino un godimento di sensi e intelletto e mai esaltazione o ebbrezza incontrollata.
Nel corso della mia esperienza personale e professionale ho avuto modo, in una serie di controversie e conflittualità circa il mio ruolo di docente sommelier, di rendermi conto della difficoltà di essere accettate in un universo, quello del mondo del vino, declinato, se non proprio dominato, dagli uomini. Ma non tanto in quanto donna, quanto piuttosto in quanto donna che si pone allo stesso cospetto degli uomini, senza pregiudizi ma anche senza timori, consapevole della propria professionalità.

Quali sono, secondo lei, le competenze e i tratti fondamentali che oggi una donna deve avere per riuscire davvero nella carriera di sommelier o produttrice di vino?

Per ciò che concerne le doti della sommelier, come descrivo nel libro, fondamentale è una delle facoltà proprie dell’animo femminile, ossia l’empatia e quella sensibilità che sa connettere, mi riferisco in questo caso al settore ristorazione, con immediatezza le aspettative della clientela con la proposta di un vino in grado di trasformare quella scelta in esperienza comune, condivisa e soddisfatta.
Le competenze della sommelier comprendono studio e aggiornamento costante, curiosità che invita ad esplorare produzioni rare o di nicchia, originalità nel proporre scelte inusuali sia al ristorante che in enoteca.
Per la produttrice, fare esperienza del vino significa, a mio avviso, un vero e proprio percorso di iniziazione: conoscere la terra, il clima, le esposizioni, intuire la scelta del vitigno più adatto, anche se minore, significa capacità di fare rete con altre realtà ed esprimere, attraverso il vino da lei stessa creato, la propria personale interpretazione di quel territorio, che è sintesi di natura, di storia, di tradizioni secolari, in ultima analisi dell’inscindibile binomio che collega l’umano al mondo del vino.
Maria Luisa Alberico - Credits @Maria Luisa Alberico

Può raccontare un episodio preciso che le ha dimostrato che finalmente le donne stavano ottenendo il riconoscimento che meritano nel mondo del vino?

Nel 2001 ho fondato con alcune colleghe l’Associazione Donna Sommelier Europa volta alla valorizzazione dell’impegno della donna all’interno del multiforme mondo del vino: la sommelier, la produttrice, l’enologa, l’agronoma, la giornalista, la food blogger, la responsabile a vario titolo nel settore del turismo del vino, dalla comunicazione del territorio all’impresa agrituristica.
Negli anni ho avuto modo di incontrare, apprezzare tante professionalità e nel 2010 nasce la volontà di approfondire in particolare l’ambito della produzione vitivinicola. Nasce dunque la monografia statistica La vigna in rosa, la prima, e tuttora unica, ricerca dedicata all’imprenditoria vitivinicola la femminile.
Con il sostegno del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali e con i dati Unioncamere, si è proceduto all’elaborazione statistica dei vari questionari per giungere ad accertare che il 30% delle imprese vitivinicole in Italia sono gestite in piena titolarità da donne.
Piena titolarità non significa solo presenza in azienda a vario titolo, bensì responsabilità in prima persona della conduzione di una cantina, impegno quanto mai delicato e complesso. In un mondo ancora gestito prevalentemente al maschile, un dato di questo genere fa comprendere la spinta affermativa che caratterizza oggi l’impegno della donna in questo settore e ne attesta il meritato riconoscimento.

Tra tutte le storie di donne legate al vino che ha incontrato, qual è quella che più l’ha colpita e che secondo lei meriterebbe più attenzione?

Non mi riferirò ad una esperienza specifica, escluderei troppe realtà conosciute, frequentate, apprezzate in questi anni. Ma un dato mi ha particolarmente e favorevolmente colpita, ricavato proprio dalla ricerca La vigna in rosa.
Se fino al secondo dopoguerra l’immagine stessa della produttrice ricalcava il ruolo tradizionale di donne che si trovano alla guida di un’azienda per fattori raramente dipendenti dalla loro volontà, ma piuttosto frutto di vicende familiari, le nuove generazioni ci mostrano imprenditrici mediamente giovani, intraprendenti, scolarizzate, in grado di competere nelle principali fiere internazionali e di rapportarsi ai grandi buyers ed importatori per proporre i loro vini sul mercato globale con determinazione e consapevolezza.
E tra di esse, e qui rispondo alla domanda, mi colpisce il fatto che molte di queste vigneronnes abbiano volontariamente scelto di diventare produttrici tralasciando carriere già affermate in altri ambiti, lo studio medico o quello legale ad esempio, per dedicarsi alla produzione e alla cultura del vino.
Scelte coraggiose che rispondono a mio avviso, come sostengo nel testo, ad un richiamo che oggi la donna sente con particolare pathos: l’esigenza di riconnettere quelle radici che l’orgia dell’industrializzazione ha lacerato per proporre un rapporto più amichevole con la Natura, con l’ambiente e i suo frutti, ossia tutte quelle attività che hanno a che fare con la terra, simbolo archetipico dell’energia femminile.
Presentazione Libro "Vino è Donna. Da baccante a Sommelier" - Credits @assostampasicilia.it

Se dovesse descriversi come un vino, quale sceglierebbe e perché?

Sceglierei probabilmente uno spumante metodo classico. Questo particolare sistema di produzione trasforma un vino base, fermo, in uno spumante dalla pregevole effervescenza: il metodo richiede tempo, il tempo per il lento affinamento nel segreto della bottiglia, nella penombra e nel silenzio delle monumentali cantine, fattori che conducono alla trasformazione.
La sua lenta evoluzione è in analogia con il mio percorso professionale che mi ha condotta ad occuparmi della cultura del vino dopo altra esperienza professionale più che decennale nell’insegnamento ed è in sintonia con una predisposizione personale che mi orienta verso la riflessione e la creatività di nuove esperienze e nello stesso tempo mi concede momenti di effervescente gratificazione…

Qual è stato il momento più emozionante o inaspettato durante il suo percorso professionale nel mondo del vino?

A proposito di momenti effervescenti, e sicuramente molto emozionanti, mi piace ricordare il piacere di riuscire a trasmettere agli allievi nei vari corsi la curiosità, l’invito a saperne di più di questo vasto e affascinante mondo del vino, la gioia di una degustazione condivisa.

Un’esperienza però rimane nel mio ricordo e mi riempie di orgoglio: l’aver ideato, proposto e realizzato, con la mia Associazione Donna Sommelier Europa, in Alta Valle di Susa, la sperimentazione della prima vendemmia ghiacciata a Chiomonte, da uve locali, Avanà Becouet, Chatus ottenendo le prime 100 bottiglie di Icewine, il San Sebastiano vino del ghiaccio di Chiomonte.

Era il 2006, periodo delle Olimpiadi invernali a Torino, nel corso di quei mesi ho organizzato per il pubblico, all’epoca davvero internazionale, quotidiane degustazioni di Icewines ed Eisweine dai Paesi produttori: Canada, Germania Austria, nonché l’International Icewines Festival a Chiomonte, invitando giornalisti e produttori di quei paesi.
Abbiamo ripetuto l’esperienza per alcuni anni, organizzando anche la tradizionale “vendemmia notturna”, alla luce delle torce, in vigna, a raccogliere manualmente i grappoli ghiacciati a meno 10 °, temperatura minima ammessa dal disciplinare di produzione. Dall’esperienza entusiasmante ho ricavato un libro che tratta di questa rara, difficile, inconsueta produzione di vini ottenuti da vendemmie ghiacciate.
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